12 Giugno 2018 Intellectual Property Unit / News / News_it/en 0 Comment

BREVETTI & SOFTWARE: IL CASO ALICE CORP

La Commissione Europea, nella Comunicazione del 02.07.2014 (COM 2014 –  442 Final) ha definito i Big Data come “una grande quantità di tipi diversi di dati prodotti con un’alta velocità da un grande numero di fonti di diverso tipo. La gestione di tali aggregati di dati richiede oggi nuovi strumenti e metodi, come processori potenti, software e algoritmi”. In questa prospettiva, pertanto, assume rilevanza fondamentale lo sviluppo delle infrastrutture fisiche e non, le quali risultano necessarie per poter efficacemente svolgere suddette attività di analisi. Tale scenario di sviluppo tecnologico, ha aperto numerosi dibattiti sul fronte della proprietà intellettuale, legati soprattutto alla necessità di trovare un equilibrio normativo tra la tutela del vantaggio competitivo degli operatori e la condivisione dei risultati, quale stimolo fondamentale per lo sviluppo del settore. Per quanto riguarda i programmi per elaboratori, la protezione principale è assicurata dal diritto d’autore; la suddetta normativa tutela il software, in quanto considerato un prodotto della programmazione, quest’ultima assimilata di fatto ad un’attività intellettuale. Tuttavia, questa forma di tutela non offre una notevole stabilità, per due principali motivi. Il primo è il rischio del cosiddetto “reverse engeneering”, ovvero la possibilità di risalire da un programma al suo diagramma di flusso ed in questo modo crearne uno del tutto nuovo che però svolge esattamente le stesse funzioni. Davanti a questo tipo di operazione, il copyright risulta essere una tutela fallimentare perché protegge il software al pari di un’opera letteraria, ovvero limitatamente al modo in cui è scritto il relativo “codice sorgente”, cioè l’insieme di istruzioni di un linguaggio di programmazione; pertanto a fronte di una diversità di quest’ultimo, anche se il risultato finale è il medesimo, non si ha alcuna violazione del copyright.

L’altro nodo critico è il requisito di originalità che facilmente può essere negato, ogni qualvolta le istruzioni presenti nel codice siano necessitate dalla funzione. In America, da questo punto di vista, un giudizio esemplificativo di una maggiore rigidità della Corte Suprema, è la sentenza del 21 marzo 1991 nel caso Feist (Feist Publications, Inc., v. Rural Telephone Service Co., 499 U.S. 340 – 1991); in quest’occasione si è innalzato il livello di creatività richiesto per la tutela del software, andando così a determinare un superamento dell’approccio “sweet of the brown” di matrice anglosassone, nel quale una banca di dati veniva protetta primariamente in base allo sforzo economico profuso ed al conseguente valore patrimoniale dell’investimento. Pertanto, a fronte di questi limiti di tutela in materia di software da parte del copyright, in America si è cominciato a guardare con attenzione alla disciplina brevettuale; infatti, a differenza del diritto d’autore, il brevetto su di un’invenzione di software fornisce una tutela più ampia e che spazia dal linguaggio di programmazione alle funzionalità dell’algoritmo e non limitandosi, quindi, alla tutela della sola forma del codice sorgente. Sulla concessione di brevetti in materia di software, nel 2014 è stata emessa dalla Corte Suprema la storica sentenza nel caso Alice (Alice Corporation Pty. Ltd.vs CLS Bank International); in quest’occasione si è stabilito che la condizione di brevettabilità di tale tecnologia è che l’invenzione in esame non si limiti a contemplare una mera idea astratta ma dimostri un passo inventivo ulteriore di tipo applicativo; in buona sostanza viene riconosciuta la possibilità di una tutela brevettuale, purché l’invenzione sia calata nel mondo della tecnica. Ricostruendo brevemente la vicenda, Alice Corp è un’azienda australiana detentrice di quattro brevetti su metodi elettronici per sistemi di negoziazione finanziaria in cui le transazioni tra i due soggetti che devono effettuare pagamenti sono regolate da una terza parte; la funzione di quest’ultima è di limitare il cosiddetto” rischio di regolamento ” (settlement risk), ovvero la possibilità che , nell’ambito di una transazione finanziaria, la controparte non adempia al proprio obbligo di consegna o pagamento. La Alice Corporation è stata citata in giudizio dalla CLS Bank International, quale consorzio di banche che gestisce quotidianamente miliardi di euro tramite transazioni; quest’ultima ha chiesto l’annullamento dei quattro brevetti, fondando la sua motivazione sull’assunto che l’utilizzo di un intermediario per tutelare lo scambio di prestazioni finanziarie al fine di minimizzare il rischio di inadempimenti è un principio largamente applicato da anni nelle pratiche commerciali in tutto il mondo; e, pertanto, l’implementazione di un sistema informatico volto a dare applicazione ad un concetto finanziario di base, non soddisfa i requisiti di brevettabilità. La Corte Suprema è stata quindi chiamata capire se l’uso del computer facesse la differenza o meno; ovvero se si trattasse di una mera idea astratta, concretizzata tramite l’ausilio di un software, oppure se ci si trovasse dinnanzi ad un’invenzione originale capace di determinare un miglioramento nello stato della tecnica, attraverso l’utilizzo del digitale. Con la sentenza del 2014 la Corte Suprema ha sancito la non brevettabilità del software in quanto non è stato riscontrato il concreto valore aggiunto e l’adeguata evoluzione tecnica apportata dalla società richiedente il brevetto. La decisione su caso Alice, ha reso molto più complessa la brevettabilità del software, considerando  no patent-elegible  tutte quelle soluzioni consistenti unicamente in manipolazioni e risoluzioni di problemi astratti o puramente matematici, senza alcuna ricaduta tecnico-pratica. Dall’altra parte, però, non sono state fornite indicazioni chiare e definiti i contorni precisi in merito alla categoria delle “idee astratte”; tale indeterminatezza ha causato non poche difficoltà ai tribunali di grado inferiore, in quanto  sprovvisti degli strumenti legislativi idonei a distinguere ciò che costituisce una mera idea astratta e ciò che rappresenta un concetto inventivo.

Questo tipo di approccio alla brevettabilità dei software è rintracciabile anche nella normativa comunitaria, a partire da una lettura attenta dell’art 52 EPC; in tale passaggio normativo, infatti, il legislatore escludendo la tutela brevettuale dei software in quanto tali (suchsubject-matter or activities as such), riconosce l’importanza, ai fini del conseguimento della privativa , di riscontrare quello sforzo inventivo ulteriore di tipo tecnico. La giurisprudenza dell’EPO ha fornito concretezza ed applicabilità al principio summenzionato in diverse occasioni; a titolo esemplificativo si indicano le decisioni T208/84 (Computer-related invention) del 15.07.1986 e T 1173/97 (Computer program  product / IBM) del 01.07.1998. In entrambe le occasioni l’EPO ha sottolineato l’importanza di rintracciare nel programma creato un sostanziale contributo tecnico rispetto allo stato dell’arte. Al fine di fornire delle linee guida l’EPO ha, inoltre,  pubblicato nel 2009 un documento dal titolo “Patents for software? European law and practice” e nel quale descrive i criteri seguiti per valutare la brevettabilità di un software, in primis il carattere tecnico e l’attitudine a risolvere un problema di natura tecnica; smarcato questo punto, rimangono sempre imprescindibili gli altri requisiti tipici della dimensione inventiva e della novità.

Alla luce di quanto esposto, possiamo ben comprendere la complessità di un settore come quello delle key technologies, caratterizzato da costi elevatissimi per la ricerca ed altrettanto elevate possibilità d’insuccesso; un settore che, nonostante tutto, sembra essere, a tutti gli effetti, la futura frontiera dello sviluppo industriale; le tendenze attuali vedono le imprese concentrare i propri maggiori sforzi di investimento e ricerca nell’ambito comunemente chiamato Industria 4.0 e che abbraccia realtà come la Smart Factory,l’Internet of Things, i Big data, il Maker Movement ed altri. L’Industria 4.0 riguarda quel complesso di tecnologie inerenti la cosiddetta quarta rivoluzione industriale, caratterizzata dalla “digitalizzazione e dall’interconnessione di tutte le unità produttive presenti all’interno di un sistema economico” (Roland Berger,2014); in tale paradigma, pertanto, il progresso non andrà più nella direzione delle macchine, bensì dei software alla base delle stesse; e naturalmente in un tale scenario è difficile immaginare modelli di business senza un adeguato sistema di protezione brevettuale che tuteli i prodotti nel momento in cui verranno messi sul mercato.

Si ringrazia lo Studio legale De Tullio&Partners.

Fabiano DE LEONARDIS

Intellectual Property Unit